domenica 1 febbraio 2009

CAPITOLO 1 (ex 1b ora capitolo 1 "ufficiale")

Ripose velocemente i testi nella cartellina, ancora turbato e immerso in una moltitudine di pensieri contrastanti, volse il viso contratto al portone. Guglielmo entrò dalla porta e con fare timido e lo sguardo basso, prese posto nella sua solita sedia di legno con lo schienale scheggiato.
“Salve professore!” disse mentre estraeva dalla cartellina di pelle marrone alcuni fogli gialli con i buchi.
“Buonasera Guglielmo” rispose Stefano, catturando con lo sguardo un particolare del maestro che strideva con l’eleganza gentile della sua persona. Le sue scarpe di cuoio, sormontate da una spugna di calze bianche di cotone, erano sporche di fango secco ed alquanto sdrucite.
Il silenzio venne rotto dall’arrivo degli altri studenti. Stefano, destandosi da quello strano stato di immobilità in cui era precipitato, salutò i nuovi arrivati. Dopodiché, volgendo le spalle alle file di sedie e banchi che lentamente si riempivano, si trovò ineluttabilmente a pensare a quel testo bizzarro che tanto lo turbava.
Doveva decidere prima di tutto se discuterne con la classe. L’aveva riletto almeno una decina di volte e quelle parole scritte a caso senza un ordine apparentemente logico e piene di errori grammaticali risuonavano dentro di lui in modo alquanto ambiguo. Non aveva idea di chi potesse essere l’autore di un tale testo e non poteva neanche confrontare la calligrafia con quella degli studenti, perché quelle parole erano state scritte con un normografo. Inoltre l’autore aveva utilizzato una miriade di colori e aveva disposto le parole in forme ellittiche. Eppure tutto ciò non gli pareva avere l’aspetto di uno scherzo.
Decise infine di non farne menzione con la classe ed ignorare deliberatamente il testo, al di là di tutto principalmente per la sua incomprensibilità. Prese quindi in mano gli altri ed iniziò a commentare quello che a suo parere era più meritevole, almeno dal punto di vista stilistico. Riteneva di aver individuato l’autore di alcuni dei componimenti. Secondo il suo intuito quello che stava leggendo ora era opera di Enrica. Una storia molto commovente, di solitudine, di emarginazione sociale.
Ma in realtà mentre Stefano leggeva, gli occhi di Enrica erano di ghiaccio. Quell’azzurro tenue era fisso in un punto di chissà dove, straniato tra la polvere del pavimento di marmo, mentre il suo viso era impietrito in un sorriso surreale. La donna, muovendo senza tregua un piede, faceva salire di un centimetro o due il pantalone di lino nero, lasciando scorgere per pochi intermittenti secondi, un tatuaggio a forma di spirale.
Intanto Stefano, mentre commentava il testo che aveva in mano, scorse da sopra la lunetta degli occhiali una scena piuttosto insolita: Guglielmo, con un’aria vagamente divertita, accartocciava nervosamente in palline di carta i suoi fogli gialli, dopo di ché le riponeva tutte in fila all’estremità del banco. Stefano indispettito si interruppe.
La classe rivolse lo sguardo al professore. Guglielmo fece cadere una pallina a terra.
Dentro di sé Stefano non riusciva a smettere di pensare al criptico testo dall’autore sconosciuto, non riusciva a smettere di farsi domande. Come mai lo sconvolgeva in quel modo? Inoltre, forse in conseguenza di ciò, quel giorno percepiva la classe in un modo diverso. Dettagli che un in altro momento non avrebbe nemmeno notato gli parevano morbosamente densi di significato.
Dopo alcuni istanti di silenzio, decise di interrompere la lezione.
“Scusatemi ma oggi non mi sento molto bene, è meglio interrompere la lezione. La prossima volta commenteremo gli altri testi.” disse Stefano davanti agli occhi perplessi degli studenti.
Lentamente essi cominciarono a prendere la propria roba e a lasciare la chiesetta con una sequenziale fila di “Arrivederci”. Osservandoli uscire con la coda dell’occhio, Stefano focalizzò che l’uomo con l’impermeabile quel giorno non era venuto. Era forse lui l’autore di quel testo? Lui non era presente quando gli studenti li avevano depositati sulla cattedra. In teoria era possibile. E, se era così, perché non si era presentato? Forse proprio per lasciarne intendere la paternità?
“Basta!” si disse. Doveva cercare di non pensarci, tanto al momento erano soltanto congetture.
Era sera inoltrata, la luce fioca delle lampade a parete restituiva alla chiesetta la sua lunga storia. Stefano sempre più vittima dei suoi pensieri, si era estraniato completamente dalla contingenza del reale. Mise la cartellina rossa contenete i testi nella borsa di pelle marrone e velocemente prima di uscire diede una piccola sbirciata tra i banchi vuoti. A terra, addormentata ai piedi di una sedia, c’era una pallina di carta gialla.
Era quella che Guglielmo aveva fatto cadere.
Con il cuore in gola andò a raccoglierla e l’aprì.

(autore: Elena Cervetti)

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