domenica 1 febbraio 2009

CAPITOLO 1 "scartato" (ex 1a)

Dopo un secondo tenue scricchiolio il portone tornò silenzioso.
Doveva essere stato soltanto il vento.
Stefano riportò gli occhi sul testo che aveva in mano. Notò che non era scritto su un normale foglio da stampante come tutti gli altri, ma su una sottile carta filigranata decorata da un disegno che la penombra della chiesa non permetteva di distinguere. Proseguì la lettura, come ipnotizzato da quella grafia ricercata ed elegante, da antico amanuense, “Sono un maledetto bugiardo”.
Senza riuscire a spiegarne il motivo, trovava quelle parole familiari in modo inquietante. “Sono un maledetto bugiardo, questo sono.”
Una ventata gelida arrivò dal fondo della chiesa e gettò a terra la cartellina con i testi.
Stefano sussultò, la fronte imperlata di sudore, gli occhi fissi sul pesante portone, ora socchiuso. Nella piccola chiesa a parte lui non c’era nessuno.
Rilesse il paragrafo “Non vi ho ancora detto chi sono, voi credete di conoscermi, è ovvio, non c’è bisogno di alcuna presentazione in casi come questi, invece... bugie, inganni, malia delle parole. I sottili sortilegi della scrittura e degli scrittori...
Sono un maledetto bugiardo, questo sono. Vi ho mentito. Mento spesso, da secoli potrei dire.
Ricordate? Alla prima lezione è stato chiesto ‘perché siete qui, a questo corso?’, ebbene, ve lo dirò, io sono qui perché le lezioni si tengono proprio in questa chiesa sconsacrata; sconsacrata dopo un omicidio, rimasto impunito, avvenuto più di cinquant’anni or sono.
A quel tempo la morte dello scrittore sconvolse questo tranquillo paese di provincia, ipocrita, tradizionalista e ottuso.
E per rendervi partecipi della mia vita maledetta, vi svelerò un mistero. Autore del delitto di questo insignificante imbrattacarte sono proprio io, l’anonimo, ma se preferite darmi un nome potete chiamarmi... Stefano”.
Stefano chiuse gli occhi, colto da un senso di vertigine.
Ebbe la sensazione di ricordare una torrida sera d’estate, una folla mesta e attonita in lenta processione per le vie del centro e le candele accese per la veglia, brani scelti letti con voce rotta sul sagrato di una chiesa. E le vetrine dell’unica libreria e dell’edicola del paese tappezzate dalla copertina cartonata del primo e unico romanzo che aveva dato fama all’uomo assassinato.
Era un ricordo che non avrebbe saputo collocare con precisione nel tempo, né dire se fosse reale oppure no, ma lo assalì con la nitidezza e la brutalità di dettaglio che hanno a volte certi incubi.
Il portone della chiesetta scricchiolò di nuovo, ma questa volta la luce filtrò chiara dai lampioni della strada illuminando tenuemente i muri bianchi e spogli dell’edificio. Serena entrò di slancio, i capelli neri raccolti all’indietro da un cerchietto fucsia, le guance paffute arrossate dalla corsa, rideva parlando con Enrica. Dietro di loro il maestro procedeva a piccoli passi, timido e riservato come al solito.
Al loro arrivo, la chiesa si riempì di voci che a Stefano parvero venire da molto lontano.
Stefano si riscosse a fatica, cercò di ricomporsi per accogliere i suoi studenti, come se nulla fosse accaduto, ma si sentiva turbato e molto confuso.
Chi poteva essere l’autore di quel manoscritto? E perché il suo contenuto lo tormentava così profondamente?

(Autore: Cora Bacchelli)

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