domenica 15 febbraio 2009

CAPITOLO 3

Seduto nella sua vecchia Tipo, Stefano avvertì la cervicale che cominciava a dolergli in quello che era un tipico principio di emicrania. Sebbene una parte di lui volesse istintivamente seguire l'ombra, decise che sarebbe stato troppo per quella sera. Nella sua mente l'impellente necessità di staccare un po' il cervello e rilassarsi si faceva strada sempre più rapidamente, come una luce vivida attraverso le fosche nebbie dei suoi pensieri. Fece fare alla chiave l'ultimo scatto necessario e rilasciò dolcemente la frizione, mentre aiutava l'auto a rimanere accesa con qualche botta di gas supplementare. Sorrise ironicamente, riflettendo sul fatto che la sua macchina non teneva più il minimo da così tanto tempo che ormai ci aveva fatto l'abitudine e attraversò il piazzale ciottolato fino ad imboccare il lungo viale costeggiato da cipressi che collegava la chiesa alla provinciale.

L'acqua scendeva all'interno del box doccia, all'inizio piacevolmente tiepida per poi raggiungere una temperatura quasi rovente finché, nel giro di pochi minuti, i vetri e gli specchi del bagno si appannarono completamente. Mentre Stefano si godeva quell'esperienza corroborante, sentiva il peso accumulato nei muscoli delle spalle farsi più leggero e la tensione scivolare via. Poteva quasi vedere le sue preoccupazioni scendere giù per lo scarico, trascinate dal flusso corrente della doccia. Uscendo in accappatoio, diede ai capelli qualche colpo di asciugamano con noncuranza e scese in cucina per preparare la cena. Mise a scaldare in un pentolino le pennette rimaste a pranzo e tolse dal frigo un po' di insalata verde, del prosciutto e una bottiglia di Cardeto rosso già aperta, dopodiché tornò al piano superiore dell'abitazione per vestirsi e finire di asciugarsi i capelli. Seduto sul letto, con il phon acceso in mano, il suo sguardo girovagò senza meta per la stanza fino a fermarsi sopra una foto sul comò. Vi erano ritratte una donna sui 30 anni ed una bambina, entrambe abbronzate e sorridenti, sedute ad un tavolino sul ponte di una nave da crociera. Spense l'asciugacapelli e prese in mano la cornice argentata. “Com'erano belle” disse, contemplando l'immagine. Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che era andato in curva a tifare la sua squadra, né l'ultima volta che era uscito con un amico o un collega a bere una birra. Eppure, dopo tutto quel tempo, c’era una cosa che continuava a rammentare alla perfezione: l'ultima volta che vide sua moglie e sua figlia, il giorno dell'incidente.
Quel giorno anche una parte di lui morì e per alcuni anni Stefano entrò in un tunnel, conducendo un'esistenza al limite dell'anacoretismo. Volti nuovi venivano e volti ormai ben noti se ne andavano, niente legami ma solo pura e neutra professionalità applicata con il minimo sindacale di transfert. Ironia della sorte, l'unico aspetto che aveva sempre odiato del suo lavoro era divenuto improvvisamente non solo il suo lato preferito, ma anche una sorta di schermo col quale ripararsi dalla società. Ben presto il consiglio accademico decise di intervenire poiché quel docente, una volta così amato dai suoi alunni per la sua spontaneità e per la sua capacità di coinvolgerli, oltre all'indubbia preparazione, si stava lentamente involvendo ad uno stato di semi-autismo. Per sua fortuna, attraverso l'aiuto degli amici che gli erano rimasti vicini, il preside convinse il professore a consultare uno specialista e, attraverso non poche difficoltà e sofferenze, alla fine cominciò a stare meglio. Lo stesso Stefano si accorgeva del cambiamento e, nonostante fosse ancora ben diverso dalla persona che era un tempo, aveva cominciato a ritrovare un certo gusto nel suo lavoro.
Il corso di scrittura creativa era stata, appunto, un'altra idea del terapeuta. Trovava fosse l'ideale per ricominciare a stimolare in lui l'approccio ed il contatto diretto con le persone al di fuori del lavoro.
“Certo che il dottor Sivieri questa idea del corso di scrittura poteva proprio tenerla per sé. Alla prossima seduta gli farò presente che la cosa mi sta creando più stress che benefici...”. Mentre parlava fra sè notò la pallina di carta gialla sopra la borsa appoggiata sul mobile. Ripose la cornice, prese il foglio appallottolato, e dopo un lungo respiro, l'aprì.

“Ho assoluto bisogno di parlarti in privato, non mi fido di nessuno. Ne va del tuo interesse e, il cielo non voglia, della tua salute, quindi non posso attendere fino alla prossima lezione: vediamoci domani nel luogo di cui parlavo nella poesia che ti feci leggere. Alle nove in punto.
Avrò modo si scusarmi con te per il mio comportamento poco educato a tempo debito, ma sappi che ho buoni motivi che giustificano la mia prudenza. Dio solo sa cosa accadrebbe se venissi scoperto, quindi ti raccomando il più assoluto riserbo. Tieni gli occhi aperti”.

Guglielmo

Dopo averlo letto tutto d'un fiato, Stefano analizzò nuovamente il messaggio con più calma. Leggere quelle parole gli aveva causato un cupo attacco di apprensione; certo non rimase sconvolto, essendo ormai preparato al peggio, ma avvertì comunque un brivido percorrergli la schiena. Stava per iniziare a riflettere sul biglietto, quando il suo olfatto fu rapito da un forte odore di bruciato che proveniva dal piano inferiore. Mise in tasca il foglietto e scese le scale.

(Autore: Tommaso Caverni)

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