domenica 22 febbraio 2009

Assist

Dunque eccoci qua, quello che state per leggere è il penultimo capitolo della nostra storia. Un capitolo preparatorio, in cui vediamo rientrare in scena Enrica e scopriamo (o almeno possiamo ragionevolmente supporre) che era lei la figura vista da Stefano mentre si allontanava dalla chiesa. A questo punto mi sembra piuttosto ovvio pensare che Enrica andrà con Stefano all'appuntamento con Guglielmo al vecchio cimitero di campagna, ed è qui che si gioca la soluzione di ogni nostro mistero. Ma sarà una buona scelta? O forse è proprio Enrica che ha architettato tutto? Ricordate nel capitolo uno che il suo comportamento pareva assai strano? Certo la cosa potrebbe sempre essere frutto dell'immaginazione sovreccitata di Stefano. Ma a parte questo: chi ha scritto il testo che ha dato inizio alla nostra storia, e perché? Che cosa sa Guglielmo? Mi sembra fin troppo ovvio che sia qualcosa che riguarda il passato di Stefano, quel passato in cui hanno perso la vita sua moglie e sua figlia. O forse invece non c'entra proprio nulla?
Come al solito tocca a voi dircelo, nonché cucire insieme tutte le parti del mistero.
Mi raccomando: rileggetevi per bene tutto il testo prima di mettervi al lavoro in modo da scrivere qualcosa che sia il più possibile coerente con quanto scritto in precedenza dagli altri.
Siccome ci rendiamo conto che per scrivere quest'ultimo capitolo potrebbe essere necessario un po' più di lavoro abbiamo deciso di spostare il limite massimo delle battute a 12.000 (ossia 5.000 in più del solito).
Buon lavoro!

P.s.: per soliti problemi tecnici, ci metteremo un po' ad aggiornare il file complessivo, ma vedrete che entro domenica sera sarà già on-line la nuova versione.

CAPITOLO 4

La pentola della pasta giaceva nell’acquaio con dentro alcune pennette carbonizzate che galleggiavano nell’acqua: quella con cui Stefano l’aveva prontamente riempita quando, accorrendo in cucina, si era accorto del disastro accaduto alla sua cena.
Quello della cena, in quel momento, era il problema meno importante.
Mentre mangiava l’insalata Stefano pensava al biglietto di Guglielmo: dunque non era il solo ad avvertire, ultimamente, un senso di disagio fra le mura di quella chiesetta.
Guglielmo era al corrente di qualcosa, di un pericolo che sicuramente doveva avere attinenza con l’autore di quel maledetto testo.
Per un attimo Stefano ebbe il desiderio di fuggire da tutto: avrebbe potuto interrompere il corso con una scusa, la sua salute.
In fondo non era nemmeno una bugia perché la tensione che aveva accumulato da quando si era imbattuto in quell’ambiguo scritto lo stava letteralmente logorando.
Dopo la disgrazia che gli aveva rovinato la vita era diventato fragile come un bambino e non si sentiva più in grado di affrontare le difficoltà.
Interrompere il corso, darsi malato... Gli venne in mente Enrica e pensò a quello che avrebbe provato nell’apprendere la notizia che il corso di scrittura non si faceva più.
Immaginò la delusione sul suo bel viso.
Sapeva come Enrica tenesse alle sue lezioni, lo vedeva da come lo guardava durante le spiegazioni con i suoi occhi pieni di interesse che catturavano ogni sua parola.
In uno dei testi anonimi che Stefano aveva raccolto, lo stesso che aveva letto il giorno precedente in classe, si parlava della scoperta della scrittura: l’autore o autrice, dopo aver vissuto per anni nella disistima delle proprie capacità, diceva di aver scoperto di saper scrivere e di aver ricavato un’immensa gioia da questa consapevolezza.
Stefano era certo di aver riconosciuto la penna di Enrica in quelle righe.
E dunque come avrebbe potuto abbandonarla?
Per la prima volta dopo un tempo che gli sembrava infinito e dopo un dolore che credeva non gli avrebbe più dato respiro, Stefano si domandò se, per caso, non si stesse innamorando.

La mattina seguente, mentre cercava di staccare i residui di pennette dal fondo della pentola con un cucchiaio di legno, Stefano pensava al suo appuntamento con Guglielmo per quella sera.
L’anziano maestro aveva indicato, come luogo dell’appuntamento, quello di cui parlava nella sua poesia.
“Cristo, il cimitero!” esclamò Stefano dopo aver ripensato alle rime di Guglielmo.
Si trattava di un minuscolo cimitero di campagna dove Stefano ricordava di essere stato una volta con un collega: era autunno anche quella volta e Stefano ricordava di essersi infangato le scarpe per via del terreno bagnato.
Il fatto era che Stefano odiava i cimiteri e, dopo la disgrazia, se ne teneva lontano, rifiutandosi di frequentare anche quello dove erano sepolte sua moglie e sua figlia.
Era quasi l’ora di uscire per recarsi all’appuntamento col dottor Sivieri, il suo terapeuta.
Prima di farlo Stefano andò a prendere la cartella rossa con gli elaborati del corso di scrittura, tirò fuori il testo che tanto l’aveva inquietato e, dopo averlo piegato in quattro, lo fece scivolare nella tasca del cappotto.
“Dottor Sivieri, che cosa ne pensa?”
“Posso dire, senza ombra di dubbio, che chi ha scritto queste cose è una persona affetta da qualche disturbo psichico, tuttavia... “
“Tuttavia?”
“Tuttavia c’è qualcosa di... falso. Sembra che, chi l’ha scritto, abbia voluto calcare la mano. Insomma è come se le sue parole fossero mirate a spaventare chi le legge proprio per la loro assurdità e per la loro incongruenza”
“Lei crede? Qualcuno vuole spaventarmi allora? E perché? Qualcuno vuole che il corso finisca? Ma è una cosa assurda! Se a qualcuno dei miei studenti il corso non andasse a genio basterebbe solo che smettesse di frequentarlo. Perché boicottarlo?”
“Non lo so, Stefano. Non posso darle una risposta, purtroppo. Posso solo suggerirle di fare attenzione”
“Dottore, ho deciso di andare fino in fondo a questa storia, comunque. Questa sera andrò all’appuntamento con Guglielmo e sentirò quello che ha da dirmi”.

Approfittando del fatto che era in paese, Stefano decise di fare un salto in farmacia.
Era sabato e la via del centro storico era piuttosto affollata.
C’era una pasticceria molto buona nel corso e Stefano decise di fermarsi per concedersi una seconda colazione.
Il cuore gli diede un balzo quando scorse Enrica che, appoggiata al banco, beveva un cappuccino.
Le andò incontro e anche lei parve turbata nel vederlo:
“Professore, che piacere incontrarla! Sa che ieri sera mi ha fatto preoccupare?”
“Preoccupare?”
“Sì, era così strano durante la lezione, ci guardava tutti in un modo... Poi ci ha detto che si sentiva male e che la lezione era finita. Sa, io sono uscita insieme agli altri e sono andata verso casa, poi però ci ho ripensato e sono tornata indietro per vedere come stava”
“Davvero?”
“Sì, lei però era già in macchina, ho cercato di fermarla ma non mi ha vista”
“Ah, capisco. La ringrazio per essersi preoccupata per me, oggi comunque sto meglio”
“Meno male” disse Enrica mentre il viso le si distendeva in un aria di sincero sollievo.
“Senta, Enrica, lo so che non dovrei chiederglielo, ma il testo che stavo leggendo ieri sera è il suo, vero?”
Il viso della donna si aprì in un sorriso luminoso:
“L’ha capito, allora”
“Sì, Enrica, credo di aver capito anche tante altre cose di lei”
“Anch’io ho capito qualcosa di lei, professore. Mi scusi se glielo dico, ci conosciamo poco ma sento che lei... è molto triste”.
Parlando avevano imboccato il corso.

(Autore: Caterina Caterini)

domenica 15 febbraio 2009

Giro di boa

Bene eccoci di nuovo. Innanzitutto grazie a tutti coloro che si sono cimentati nella scrittura di questo terzo capitolo, siete stati molti e questo ci rende assai fieri del lavoro che stiamo facendo.
Detto questo, restano ancora due capitoli da scrivere per cui è il momento di imprimere alla storia una certa accelerazione.
Stiamo cominciando a farci un'idea di cosa si nasconda nel passato di Stefano, ma molto è ancora da chiarire. Inoltre non abbiamo scoperto chi è la figura che il nostro professore intravede alla fine del capitolo due. In compenso Stefano è atteso per un appuntamento dal maestro Guglielmo per l'indomani. E che cos'è quell'odore di bruciato che sale dal piano inferiore? Qualcuno sta cercando di fare la pelle al nostro protagonista o è semplicemente la sua cena rimasta sul fuoco troppo a lungo?
Ditecelo voi! La prossima consegna è fissata alla mezzanotte di sabato 21 febbraio.
Tenete ben presente che quello che state per scrivere è il penultimo capitolo e quindi vi sollecito, nel limite del possibile, a cercare di fornire un "assist" a chi dovrà scrivere l'ultimo.
Buon lavoro!

CAPITOLO 3

Seduto nella sua vecchia Tipo, Stefano avvertì la cervicale che cominciava a dolergli in quello che era un tipico principio di emicrania. Sebbene una parte di lui volesse istintivamente seguire l'ombra, decise che sarebbe stato troppo per quella sera. Nella sua mente l'impellente necessità di staccare un po' il cervello e rilassarsi si faceva strada sempre più rapidamente, come una luce vivida attraverso le fosche nebbie dei suoi pensieri. Fece fare alla chiave l'ultimo scatto necessario e rilasciò dolcemente la frizione, mentre aiutava l'auto a rimanere accesa con qualche botta di gas supplementare. Sorrise ironicamente, riflettendo sul fatto che la sua macchina non teneva più il minimo da così tanto tempo che ormai ci aveva fatto l'abitudine e attraversò il piazzale ciottolato fino ad imboccare il lungo viale costeggiato da cipressi che collegava la chiesa alla provinciale.

L'acqua scendeva all'interno del box doccia, all'inizio piacevolmente tiepida per poi raggiungere una temperatura quasi rovente finché, nel giro di pochi minuti, i vetri e gli specchi del bagno si appannarono completamente. Mentre Stefano si godeva quell'esperienza corroborante, sentiva il peso accumulato nei muscoli delle spalle farsi più leggero e la tensione scivolare via. Poteva quasi vedere le sue preoccupazioni scendere giù per lo scarico, trascinate dal flusso corrente della doccia. Uscendo in accappatoio, diede ai capelli qualche colpo di asciugamano con noncuranza e scese in cucina per preparare la cena. Mise a scaldare in un pentolino le pennette rimaste a pranzo e tolse dal frigo un po' di insalata verde, del prosciutto e una bottiglia di Cardeto rosso già aperta, dopodiché tornò al piano superiore dell'abitazione per vestirsi e finire di asciugarsi i capelli. Seduto sul letto, con il phon acceso in mano, il suo sguardo girovagò senza meta per la stanza fino a fermarsi sopra una foto sul comò. Vi erano ritratte una donna sui 30 anni ed una bambina, entrambe abbronzate e sorridenti, sedute ad un tavolino sul ponte di una nave da crociera. Spense l'asciugacapelli e prese in mano la cornice argentata. “Com'erano belle” disse, contemplando l'immagine. Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che era andato in curva a tifare la sua squadra, né l'ultima volta che era uscito con un amico o un collega a bere una birra. Eppure, dopo tutto quel tempo, c’era una cosa che continuava a rammentare alla perfezione: l'ultima volta che vide sua moglie e sua figlia, il giorno dell'incidente.
Quel giorno anche una parte di lui morì e per alcuni anni Stefano entrò in un tunnel, conducendo un'esistenza al limite dell'anacoretismo. Volti nuovi venivano e volti ormai ben noti se ne andavano, niente legami ma solo pura e neutra professionalità applicata con il minimo sindacale di transfert. Ironia della sorte, l'unico aspetto che aveva sempre odiato del suo lavoro era divenuto improvvisamente non solo il suo lato preferito, ma anche una sorta di schermo col quale ripararsi dalla società. Ben presto il consiglio accademico decise di intervenire poiché quel docente, una volta così amato dai suoi alunni per la sua spontaneità e per la sua capacità di coinvolgerli, oltre all'indubbia preparazione, si stava lentamente involvendo ad uno stato di semi-autismo. Per sua fortuna, attraverso l'aiuto degli amici che gli erano rimasti vicini, il preside convinse il professore a consultare uno specialista e, attraverso non poche difficoltà e sofferenze, alla fine cominciò a stare meglio. Lo stesso Stefano si accorgeva del cambiamento e, nonostante fosse ancora ben diverso dalla persona che era un tempo, aveva cominciato a ritrovare un certo gusto nel suo lavoro.
Il corso di scrittura creativa era stata, appunto, un'altra idea del terapeuta. Trovava fosse l'ideale per ricominciare a stimolare in lui l'approccio ed il contatto diretto con le persone al di fuori del lavoro.
“Certo che il dottor Sivieri questa idea del corso di scrittura poteva proprio tenerla per sé. Alla prossima seduta gli farò presente che la cosa mi sta creando più stress che benefici...”. Mentre parlava fra sè notò la pallina di carta gialla sopra la borsa appoggiata sul mobile. Ripose la cornice, prese il foglio appallottolato, e dopo un lungo respiro, l'aprì.

“Ho assoluto bisogno di parlarti in privato, non mi fido di nessuno. Ne va del tuo interesse e, il cielo non voglia, della tua salute, quindi non posso attendere fino alla prossima lezione: vediamoci domani nel luogo di cui parlavo nella poesia che ti feci leggere. Alle nove in punto.
Avrò modo si scusarmi con te per il mio comportamento poco educato a tempo debito, ma sappi che ho buoni motivi che giustificano la mia prudenza. Dio solo sa cosa accadrebbe se venissi scoperto, quindi ti raccomando il più assoluto riserbo. Tieni gli occhi aperti”.

Guglielmo

Dopo averlo letto tutto d'un fiato, Stefano analizzò nuovamente il messaggio con più calma. Leggere quelle parole gli aveva causato un cupo attacco di apprensione; certo non rimase sconvolto, essendo ormai preparato al peggio, ma avvertì comunque un brivido percorrergli la schiena. Stava per iniziare a riflettere sul biglietto, quando il suo olfatto fu rapito da un forte odore di bruciato che proveniva dal piano inferiore. Mise in tasca il foglietto e scese le scale.

(Autore: Tommaso Caverni)

sabato 7 febbraio 2009

La storia prosegue…

Saluti a tutti. Eccoci puntuali alla pubblicazione del capitolo 2.
Volevo comunicarvi che io e Sara ci siamo consultati sull’opportunità o meno di dar seguito al tentativo (effettuato con il Capitolo 1) di biforcare la storia e abbiamo deciso che ciò comportava troppe difficoltà gestionali (per noi) e troppe complicazioni (per voi). Pertanto abbiamo deciso di pubblicare un’unica versione del Capitolo 2, dando seguito quindi soltanto al ramo della storia che avevamo in precedenza indicato come 1b ed era stato scritto da Elena Cervetti. Il ramo 1a è invece (ahimè!) da considerarsi estinto e ci spiace specialmente per Cora Bacchelli del cui bel testo non conosceremo il seguito e che invitiamo a cimentarsi, se ne avrà voglia, nella stesura del Capitolo 3.
Volevo inoltre comunicare a tutti, ma specialmente a chi passasse ora per la prima volta sul nostro sito e fosse interessato a partecipare all’iniziativa, che qui a fianco nella colonna di destra (in fondo alla sezione denominata “Book Modena narrativa”) potete scaricare tutto il testo della storia fin qui, nonché il regolamento di partecipazione, in un unico file.
E ora, il seguito del racconto!

Capitolo 2

Uscendo dalla chiesa Stefano pensò che si era fatto prendere troppo la mano.
Si vergognava di avere mandato a casa i suoi studenti con una scusa, ma adesso che la lezione era finita voleva solo tornare a casa e dormire, dormire e ancora dormire.
Si sentiva esausto e tormentato.
Prima di andarsene, però, decise di concedersi una sigaretta.
Un’eccezione alle tre programmate di ogni giorno: ne aveva bisogno. In piedi, accanto alla macchina, si tastò la stoffa del giubbotto. “Troppe tasche” pensò “Comode ma va sempre a finire che fatichi a trovare quello che ti serve.”
Prima trovò fazzoletti di carta, il foglio giallo appallottolato, le chiavi e poi, finalmente, la scatola rigida delle sigarette. In fretta cercò anche i fiammiferi. Dove aveva messo i fiammiferi? Se li ritrovò in un’altra tasca, dei pantaloni questa volta. Non gli piaceva usare l’accendino: dava al tabacco un sapore diverso. Accese la sigaretta, scosse la mano per spegnere il fiammifero che ripose poi di nuovo nella scatola e finalmente un respiro caldo, pieno, gli scese nella gola. Uscendo dalla bocca, il fumo gli girava intorno al viso, mescolato alla fredda nebbia della notte, aiutandolo a pensare con più chiarezza.
Prima, mentre era nella chiesetta con gli studenti, se solo avesse potuto accendersi una sigaretta, il suo cervello avrebbe girato con più lucidità, non si sarebbe fatto coinvolgere così profondamente. Perché poche parole, scritte in quel modo così inusuale, lo avevano tanto scosso?
Stefano pensò che forse aveva fatto tutto da solo. Aveva trascorso una settimana in lunghe e riflessioni solitarie e, per la maggior parte, personali. Molto personali.
La sua sensibilità aveva interpretato quelle parole come frutto di una follia autolesionista.
I suoi pensieri si erano poi ridimensionati, fino ad addensarsi attorno ad un unico punto cruciale che riguardava la sua esistenza: non poteva capitargli di nuovo. Non doveva.
Gettò a terra la sigaretta e, con un gesto per lui inconsueto, la spense rabbiosamente sotto il tacco. Aprì la portiera e si ritrovò ancora, nella mano sinistra stretta a pugno, i fiammiferi e la pallina di carta gialla che aveva raccolto nella chiesetta. L’aveva raccolta di impulso. Convinto che contenesse un significato e, magari, chiarito quelle parole. Invece ne aveva aperto appena un lembo, e immediatamente lo aveva richiuso. Poi aveva spento le luci, era uscito nella notte e, chiusa a chiave la chiesetta, non aveva ancora avuto il fegato di guardare il resto.
“Che situazione!” pensò mentre, nervosamente, si rimetteva tutto in tasca e saliva in auto. Pulì la condensa sul vetro e un’idea chiarissima e molto convincente gli apparve dal nulla. Gli succedeva a volte, quando era alle corde, di trovare una soluzione.
Si trattava, infine, di avere la conferma alla scelta che aveva dovuto fare alcuni anni prima.
Stefano pensò che se non raggiungeva questa certezza sarebbe andato fuori di testa e non poteva permetterselo, non più. Si sentì rinvigorito e allo stesso tempo quietato dalla decisione presa.
Inserì la chiave di accensione e alzando lo sguardo vide, a una ventina di metri, una solitaria sagoma umana. La nebbia e la poca luce del parcheggio non gli consentiva di distinguere se era voltata verso di lui o gli desse le spalle. Era ferma. Pareva osservarlo, o forse… aspettarlo.
Da quanto tempo era lì? Quando era uscito non l’aveva notata.
Aguzzò la vista nello sforzo di metterla a fuoco. Nulla da fare.
Accese i fari dell’auto. In quel momento la sagoma si girò e si allontanò svanendo nella nebbia come un fantasma.

(Autore: Bernardi Rossana)

Dunque in questo capitolo iniziamo a scoprire pezzetti di un passato turbolento del nostro protagonista Stefano. Che cosa vi si annida? Follia? Depressione? E che relazione c’è tra quel passato e il misterioso testo consegnato da uno dei suoi studenti? (Per quanto, detto per inciso, siamo davvero sicuri che sia stato uno studente? Non saranno forse messaggi che Stefano, nel delirio, manda a sé stesso?) E che cosa c’è scritto nella pagina gialla accartocciata dal maestro Guglielmo che Stefano non si decide ad aprire? Ma soprattutto chi è l’uomo misterioso che si allontana dal parcheggio non appena Stefano accende le luci dell’auto?
Ora la palla passa di nuovo a voi.
Il prossimo capitolo è da consegnare entro la mezzanotte di sabato 14 febbraio.
In bocca al lupo a tutti!

domenica 1 febbraio 2009

E uno!

Bene, ci siamo! Innanzitutto permettetemi di ringraziare tutti coloro che si sono cimentati nella scrittura del primo capitolo e di invitarli a continuare a scrivere. Purtroppo per la natura del progetto non è possibile dare soddisfazione a tutti, ma se anche questa volta il vostro testo non è stato selezionato vi esortiamo a ritentare perché di certo non mancheremo di premiare la vostra perseveranza. Inoltre, sia per avere l’occasione di dare visibilità ad un numero maggiore di voi, sia per aumentare il livello di interattività del progetto (nonché perché ci piace complicarci la vita…) di concerto con i responsabili di “Open book fantasy” e “noir” abbiamo deciso di introdurre una piccola variante.
Invece di pubblicare solo il capitolo migliore tra quelli pervenuti, ne proporremo due. In questo caso quindi invece di avere solo il Capitolo 1, avremo il Capitolo 1a e il Capitolo 1b.
Starà a voi, a questo punto, scegliere quello che vi piace di più (o quello in cui vedete più possibilità di sviluppo) e continuarlo. A quel punto, a seconda del (o dei) Capitoli 2 che noi decideremo di scegliere, anche il capitolo 1 che lo precede diventerà pienamente “ufficiale”.
Poi, se decideremo di proseguire questo esperimento, la “fissazione” del Capitolo 2 sarà data dai testi scelti per il Capitolo 3, e così via fino alla fine.
Vi sembra complesso?
In realtà lo è più da spiegare che da mettere in pratica.
Voi occupatevi di decidere se preferite continuare la storia a partire dal capitolo 1a o dal capitolo 1b: al resto pensiamo noi. In ogni caso per qualsiasi dubbio potete chiederci delucidazioni contattandoci via e-mail allo stesso indirizzo a cui spedite i racconti.
Direi che questo è tutto. La scadenza per la consegna del Capitolo 2 è fissata alla mezzanotte di venerdì 6 febbraio.
Buona lettura e buon lavoro!

CAPITOLO 1 "scartato" (ex 1a)

Dopo un secondo tenue scricchiolio il portone tornò silenzioso.
Doveva essere stato soltanto il vento.
Stefano riportò gli occhi sul testo che aveva in mano. Notò che non era scritto su un normale foglio da stampante come tutti gli altri, ma su una sottile carta filigranata decorata da un disegno che la penombra della chiesa non permetteva di distinguere. Proseguì la lettura, come ipnotizzato da quella grafia ricercata ed elegante, da antico amanuense, “Sono un maledetto bugiardo”.
Senza riuscire a spiegarne il motivo, trovava quelle parole familiari in modo inquietante. “Sono un maledetto bugiardo, questo sono.”
Una ventata gelida arrivò dal fondo della chiesa e gettò a terra la cartellina con i testi.
Stefano sussultò, la fronte imperlata di sudore, gli occhi fissi sul pesante portone, ora socchiuso. Nella piccola chiesa a parte lui non c’era nessuno.
Rilesse il paragrafo “Non vi ho ancora detto chi sono, voi credete di conoscermi, è ovvio, non c’è bisogno di alcuna presentazione in casi come questi, invece... bugie, inganni, malia delle parole. I sottili sortilegi della scrittura e degli scrittori...
Sono un maledetto bugiardo, questo sono. Vi ho mentito. Mento spesso, da secoli potrei dire.
Ricordate? Alla prima lezione è stato chiesto ‘perché siete qui, a questo corso?’, ebbene, ve lo dirò, io sono qui perché le lezioni si tengono proprio in questa chiesa sconsacrata; sconsacrata dopo un omicidio, rimasto impunito, avvenuto più di cinquant’anni or sono.
A quel tempo la morte dello scrittore sconvolse questo tranquillo paese di provincia, ipocrita, tradizionalista e ottuso.
E per rendervi partecipi della mia vita maledetta, vi svelerò un mistero. Autore del delitto di questo insignificante imbrattacarte sono proprio io, l’anonimo, ma se preferite darmi un nome potete chiamarmi... Stefano”.
Stefano chiuse gli occhi, colto da un senso di vertigine.
Ebbe la sensazione di ricordare una torrida sera d’estate, una folla mesta e attonita in lenta processione per le vie del centro e le candele accese per la veglia, brani scelti letti con voce rotta sul sagrato di una chiesa. E le vetrine dell’unica libreria e dell’edicola del paese tappezzate dalla copertina cartonata del primo e unico romanzo che aveva dato fama all’uomo assassinato.
Era un ricordo che non avrebbe saputo collocare con precisione nel tempo, né dire se fosse reale oppure no, ma lo assalì con la nitidezza e la brutalità di dettaglio che hanno a volte certi incubi.
Il portone della chiesetta scricchiolò di nuovo, ma questa volta la luce filtrò chiara dai lampioni della strada illuminando tenuemente i muri bianchi e spogli dell’edificio. Serena entrò di slancio, i capelli neri raccolti all’indietro da un cerchietto fucsia, le guance paffute arrossate dalla corsa, rideva parlando con Enrica. Dietro di loro il maestro procedeva a piccoli passi, timido e riservato come al solito.
Al loro arrivo, la chiesa si riempì di voci che a Stefano parvero venire da molto lontano.
Stefano si riscosse a fatica, cercò di ricomporsi per accogliere i suoi studenti, come se nulla fosse accaduto, ma si sentiva turbato e molto confuso.
Chi poteva essere l’autore di quel manoscritto? E perché il suo contenuto lo tormentava così profondamente?

(Autore: Cora Bacchelli)

CAPITOLO 1 (ex 1b ora capitolo 1 "ufficiale")

Ripose velocemente i testi nella cartellina, ancora turbato e immerso in una moltitudine di pensieri contrastanti, volse il viso contratto al portone. Guglielmo entrò dalla porta e con fare timido e lo sguardo basso, prese posto nella sua solita sedia di legno con lo schienale scheggiato.
“Salve professore!” disse mentre estraeva dalla cartellina di pelle marrone alcuni fogli gialli con i buchi.
“Buonasera Guglielmo” rispose Stefano, catturando con lo sguardo un particolare del maestro che strideva con l’eleganza gentile della sua persona. Le sue scarpe di cuoio, sormontate da una spugna di calze bianche di cotone, erano sporche di fango secco ed alquanto sdrucite.
Il silenzio venne rotto dall’arrivo degli altri studenti. Stefano, destandosi da quello strano stato di immobilità in cui era precipitato, salutò i nuovi arrivati. Dopodiché, volgendo le spalle alle file di sedie e banchi che lentamente si riempivano, si trovò ineluttabilmente a pensare a quel testo bizzarro che tanto lo turbava.
Doveva decidere prima di tutto se discuterne con la classe. L’aveva riletto almeno una decina di volte e quelle parole scritte a caso senza un ordine apparentemente logico e piene di errori grammaticali risuonavano dentro di lui in modo alquanto ambiguo. Non aveva idea di chi potesse essere l’autore di un tale testo e non poteva neanche confrontare la calligrafia con quella degli studenti, perché quelle parole erano state scritte con un normografo. Inoltre l’autore aveva utilizzato una miriade di colori e aveva disposto le parole in forme ellittiche. Eppure tutto ciò non gli pareva avere l’aspetto di uno scherzo.
Decise infine di non farne menzione con la classe ed ignorare deliberatamente il testo, al di là di tutto principalmente per la sua incomprensibilità. Prese quindi in mano gli altri ed iniziò a commentare quello che a suo parere era più meritevole, almeno dal punto di vista stilistico. Riteneva di aver individuato l’autore di alcuni dei componimenti. Secondo il suo intuito quello che stava leggendo ora era opera di Enrica. Una storia molto commovente, di solitudine, di emarginazione sociale.
Ma in realtà mentre Stefano leggeva, gli occhi di Enrica erano di ghiaccio. Quell’azzurro tenue era fisso in un punto di chissà dove, straniato tra la polvere del pavimento di marmo, mentre il suo viso era impietrito in un sorriso surreale. La donna, muovendo senza tregua un piede, faceva salire di un centimetro o due il pantalone di lino nero, lasciando scorgere per pochi intermittenti secondi, un tatuaggio a forma di spirale.
Intanto Stefano, mentre commentava il testo che aveva in mano, scorse da sopra la lunetta degli occhiali una scena piuttosto insolita: Guglielmo, con un’aria vagamente divertita, accartocciava nervosamente in palline di carta i suoi fogli gialli, dopo di ché le riponeva tutte in fila all’estremità del banco. Stefano indispettito si interruppe.
La classe rivolse lo sguardo al professore. Guglielmo fece cadere una pallina a terra.
Dentro di sé Stefano non riusciva a smettere di pensare al criptico testo dall’autore sconosciuto, non riusciva a smettere di farsi domande. Come mai lo sconvolgeva in quel modo? Inoltre, forse in conseguenza di ciò, quel giorno percepiva la classe in un modo diverso. Dettagli che un in altro momento non avrebbe nemmeno notato gli parevano morbosamente densi di significato.
Dopo alcuni istanti di silenzio, decise di interrompere la lezione.
“Scusatemi ma oggi non mi sento molto bene, è meglio interrompere la lezione. La prossima volta commenteremo gli altri testi.” disse Stefano davanti agli occhi perplessi degli studenti.
Lentamente essi cominciarono a prendere la propria roba e a lasciare la chiesetta con una sequenziale fila di “Arrivederci”. Osservandoli uscire con la coda dell’occhio, Stefano focalizzò che l’uomo con l’impermeabile quel giorno non era venuto. Era forse lui l’autore di quel testo? Lui non era presente quando gli studenti li avevano depositati sulla cattedra. In teoria era possibile. E, se era così, perché non si era presentato? Forse proprio per lasciarne intendere la paternità?
“Basta!” si disse. Doveva cercare di non pensarci, tanto al momento erano soltanto congetture.
Era sera inoltrata, la luce fioca delle lampade a parete restituiva alla chiesetta la sua lunga storia. Stefano sempre più vittima dei suoi pensieri, si era estraniato completamente dalla contingenza del reale. Mise la cartellina rossa contenete i testi nella borsa di pelle marrone e velocemente prima di uscire diede una piccola sbirciata tra i banchi vuoti. A terra, addormentata ai piedi di una sedia, c’era una pallina di carta gialla.
Era quella che Guglielmo aveva fatto cadere.
Con il cuore in gola andò a raccoglierla e l’aprì.

(autore: Elena Cervetti)