domenica 25 gennaio 2009

PROLOGO

Stefano schiacciò il pulsante di accensione e regolò al massimo la stufa elettrica.
Era stato molto felice quando aveva scoperto quale sede il comune gli avesse assegnato per il suo corso di scrittura creativa. Quella piccola chiesetta sconsacrata, posta proprio al limitare del paese, era sicuramente un luogo suggestivo dove tenere un corso di tal genere. L’unico difetto era che in quella stagione all’interno dell’edificio la temperatura era gelida.
Sistemata la stufa si sollevò guardandosi intorno. La chiesa era piccola, poco illuminata e praticamente vuota. I suoi muri erano intonacati di bianco, tranne che per un frammento di affresco rimasto nell’abside, mentre il piccolo rosone, posto sopra al portone di legno scuro, lasciava filtrare tenui bagliori dal mondo esterno.
Stefano guardò l’orologio: fra poco sarebbero arrivati i suoi studenti e doveva ancora mettere in ordine i loro testi raccolti nella cartellina.
Gli studenti ufficialmente iscritti al corso erano quattordici, ma le lezioni erano aperte a tutti per cui capitava che vi fossero altri uditori occasionali. In particolare c’era un uomo che aveva seguito tutte le lezioni. Solitamente sedeva nelle ultime file, arrivava a lezione già iniziata e se ne andava diversi minuti prima della loro conclusione. Aveva sempre un cappello ben calcato in testa e teneva le mani costantemente nelle tasche di un impermeabile che non toglieva mai.
Anche tra gli studenti ufficiali in realtà c’erano alcuni personaggi che avevano catturato la sua attenzione: quel genere di corso infatti attirava quasi sempre una fauna umana alquanto eterogenea.
C’era ad esempio Marco, uno studente universitario sui venticinque anni che, arenato a pochi esami dalla laurea in ingegneria, aveva deciso di seguire maggiormente la sua vena creativa. Il corpo esile, i modi gentili e il vestire bohemien ne suggerivano un orientamento sessuale incerto, mentre le occhiaie profondamente scavate ne lasciavano intendere le notti insonni.
Poi c’era Enrica, che di anni ne aveva quasi quarantacinque ma a vederla ne dimostrava dieci di meno. Incredibile pensare che avesse un figlio di ventotto e che lo avesse allevato tutto da sola. Enrica gli piaceva. Aveva un sorriso aperto e un atteggiamento concreto. Quando durante la prima lezione aveva chiesto a ciascuno: “Perché sei qui?” e “Che cosa ti aspetti da questo corso?” gli studenti avevano dato le risposte più svariate, ma tutte, come quasi sempre accadeva, riconducibili a tre comportamenti standard. C’era chi aveva approfittato della circostanza per parlare di sé per minuti interi spesso senza dare alcuna risposta, chi aveva balbettato incerto frasi smozzicate e sembrava essere lui per primo in dubbio sulle motivazioni che lo avevano condotto lì e infine chi aveva replicato il succo delle risposte che altri avevano dato qualche istante prima. Enrica invece aveva detto semplicemente: “Perché mi piace scrivere e spero di imparare a farlo meglio.”
Un altro personaggio a cui si era affezionato subito era Guglielmo, il maestro.
Era quello che un tempo sarebbe stato definito “un vero gentiluomo”: educatissimo, galante con le signore, vestito sempre con giacca, cappello e cravattino a farfalla. Aveva insegnato alle scuole elementari fino a tarda età e adesso doveva essere ormai più vicino agli ottanta che ai settanta. Stefano invidiava sinceramente il suo spirito curioso e la sua mente sempre pronta. “Chissà se io ci arriverò mai alla sua età… sicuramente non sarò così in forma” considerava fra sé.
Guglielmo aveva una grandissima passione per la letteratura e scriveva poesie da moltissimi anni. Una volta gliene aveva fatta leggere una, alla fine della lezione, quando ormai tutti erano usciti. Stefano era rimasto piacevolmente colpito dallo stile delicato ed evocativo. Gli aveva chiesto se avesse mai pensato di proporle a qualche editore e aveva sorriso della sua timidezza quando il maestro gli aveva risposto “No, no… io le scrivo solo per me”.
Infine c’era Serena, una sedicenne grassottella con un faccino da cartone animato e una frangetta sbarazzina.
Alla sua coloratissima borsa di Hello Kitty aveva attaccato mille oggetti diversi: pupazzetti, portachiavi, campanellini e chissà cos’altro e quell’allegra accozzaglia provocava ad ogni suo movimento un tintinnio che ne annunciava l’arrivo sempre qualche istante prima della sua comparsa.
Arrivava sempre imbacuccata nel suo piumino che le lasciava scoperta un po’ di schiena, con una lunghissima sciarpa di lana colorata più volte girata attorno al collo e un buffo paio di paraorecchie di peluche rosa.
Ricordava un po’ una caramella, o la Kitty che portava disegnata sulla borsa e sui guanti.
Stefano sorrise ripensando a come durante la sua presentazione avesse ammesso candidamente la sua speranza che quel corso potesse aiutarla a migliorare i voti di italiano al liceo.

Il professore dette un’ultima occhiata al testo che, sistemando gli altri, per ultimo gli era rimasto tra le mani e il suo umore si rabbuiò.
Come suo solito aveva passato gran parte della sesta lezione a parlare della scrittura in prima persona e della rilevanza delle esperienze autobiografiche nei libri di narrativa; dopodichè aveva chiesto ai suoi studenti di scrivere un testo di quel genere. I brani erano anonimi, e nemmeno lui sapeva da chi erano stati scritti. Per tutelare ulteriormente l’anonimato era addirittura uscito dalla chiesa al momento della consegna. Né sapeva chi tra gli studenti non lo avesse consegnato: i testi infatti erano solo dodici. L’idea era che questo sistema gli avrebbe consentito di leggerli e discuterli con maggior libertà davanti alla classe: aveva inoltre esplicitamente specificato che tutti i testi sarebbero stati letti e discussi.
Eppure, per la prima volta nella sua vita, si domandò se nel caso di quel particolare testo, la cosa non fosse inopportuna.
Rilesse le prime righe e, come ognuna delle ormai numerose volte in cui aveva affrontato quelle parole, venne assalito da un senso di forte disagio.
Non poteva fare a meno di chiedersi se quello scritto in realtà non fosse una specie di scherzo, magari da parte di un ego particolarmente bisognoso di attenzioni.
Ma la domanda che lo tormentava adesso era: chi lo aveva scritto?
Stefano udì il portone della chiesa scricchiolare.
Il primo dei suoi studenti stava arrivando.

(Autori: Sara Bosi e Massimiliano Prandini)

Bene ora la palla passa a voi. Io e Sara ci siamo limitati a mettere sul piatto alcuni spunti e personalmente (ma credo di poter parlare anche per Sara) non ho la minima idea di dove ci porterà la storia. Vi piacciono i personaggi che abbiamo descritto? Potete usarli ma anche inventarne altri. Trovate interessante lo spunto dell’uomo misterioso in impermeabile? Benissimo, ma se nella storia che voi avete in mente non viene coinvolto, nulla ci vieta nella fase di editing finale dell’e-book di toglierlo. Avete un’idea di cosa possa contenere il testo che inquieta Stefano? Potrebbe essere il racconto di una violenza, la lettera di un aspirante suicida o chissà, magari per qualche misterioso motivo potrebbe narrare un episodio della vita proprio di Stefano. O naturalmente qualsiasi altra cosa vi venga in mente. E chi è che l’ha scritto? La storia è appositamente strutturata per lasciare spazio alla possibilità che non sia nemmeno uno degli studenti. E infine: chi sta arrivando? E’ veramente uno degli studenti? O magari qualcuno che non c’entra nulla?
Tutte queste cose dovete dircele voi. Chi ha voglia di contribuire a questa storia deve mandare il CAPITOLO 1 entro le ore 24 del 31 gennaio a questo indirizzo e-mail: bookmodena.narrativa@gmail.com. Naturalmente potete sfruttare lo stesso indirizzo anche per chiederci qualsiasi ulteriore informazione o delucidazione riguardo al progetto.
Buon lavoro!

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