domenica 22 febbraio 2009

CAPITOLO 4

La pentola della pasta giaceva nell’acquaio con dentro alcune pennette carbonizzate che galleggiavano nell’acqua: quella con cui Stefano l’aveva prontamente riempita quando, accorrendo in cucina, si era accorto del disastro accaduto alla sua cena.
Quello della cena, in quel momento, era il problema meno importante.
Mentre mangiava l’insalata Stefano pensava al biglietto di Guglielmo: dunque non era il solo ad avvertire, ultimamente, un senso di disagio fra le mura di quella chiesetta.
Guglielmo era al corrente di qualcosa, di un pericolo che sicuramente doveva avere attinenza con l’autore di quel maledetto testo.
Per un attimo Stefano ebbe il desiderio di fuggire da tutto: avrebbe potuto interrompere il corso con una scusa, la sua salute.
In fondo non era nemmeno una bugia perché la tensione che aveva accumulato da quando si era imbattuto in quell’ambiguo scritto lo stava letteralmente logorando.
Dopo la disgrazia che gli aveva rovinato la vita era diventato fragile come un bambino e non si sentiva più in grado di affrontare le difficoltà.
Interrompere il corso, darsi malato... Gli venne in mente Enrica e pensò a quello che avrebbe provato nell’apprendere la notizia che il corso di scrittura non si faceva più.
Immaginò la delusione sul suo bel viso.
Sapeva come Enrica tenesse alle sue lezioni, lo vedeva da come lo guardava durante le spiegazioni con i suoi occhi pieni di interesse che catturavano ogni sua parola.
In uno dei testi anonimi che Stefano aveva raccolto, lo stesso che aveva letto il giorno precedente in classe, si parlava della scoperta della scrittura: l’autore o autrice, dopo aver vissuto per anni nella disistima delle proprie capacità, diceva di aver scoperto di saper scrivere e di aver ricavato un’immensa gioia da questa consapevolezza.
Stefano era certo di aver riconosciuto la penna di Enrica in quelle righe.
E dunque come avrebbe potuto abbandonarla?
Per la prima volta dopo un tempo che gli sembrava infinito e dopo un dolore che credeva non gli avrebbe più dato respiro, Stefano si domandò se, per caso, non si stesse innamorando.

La mattina seguente, mentre cercava di staccare i residui di pennette dal fondo della pentola con un cucchiaio di legno, Stefano pensava al suo appuntamento con Guglielmo per quella sera.
L’anziano maestro aveva indicato, come luogo dell’appuntamento, quello di cui parlava nella sua poesia.
“Cristo, il cimitero!” esclamò Stefano dopo aver ripensato alle rime di Guglielmo.
Si trattava di un minuscolo cimitero di campagna dove Stefano ricordava di essere stato una volta con un collega: era autunno anche quella volta e Stefano ricordava di essersi infangato le scarpe per via del terreno bagnato.
Il fatto era che Stefano odiava i cimiteri e, dopo la disgrazia, se ne teneva lontano, rifiutandosi di frequentare anche quello dove erano sepolte sua moglie e sua figlia.
Era quasi l’ora di uscire per recarsi all’appuntamento col dottor Sivieri, il suo terapeuta.
Prima di farlo Stefano andò a prendere la cartella rossa con gli elaborati del corso di scrittura, tirò fuori il testo che tanto l’aveva inquietato e, dopo averlo piegato in quattro, lo fece scivolare nella tasca del cappotto.
“Dottor Sivieri, che cosa ne pensa?”
“Posso dire, senza ombra di dubbio, che chi ha scritto queste cose è una persona affetta da qualche disturbo psichico, tuttavia... “
“Tuttavia?”
“Tuttavia c’è qualcosa di... falso. Sembra che, chi l’ha scritto, abbia voluto calcare la mano. Insomma è come se le sue parole fossero mirate a spaventare chi le legge proprio per la loro assurdità e per la loro incongruenza”
“Lei crede? Qualcuno vuole spaventarmi allora? E perché? Qualcuno vuole che il corso finisca? Ma è una cosa assurda! Se a qualcuno dei miei studenti il corso non andasse a genio basterebbe solo che smettesse di frequentarlo. Perché boicottarlo?”
“Non lo so, Stefano. Non posso darle una risposta, purtroppo. Posso solo suggerirle di fare attenzione”
“Dottore, ho deciso di andare fino in fondo a questa storia, comunque. Questa sera andrò all’appuntamento con Guglielmo e sentirò quello che ha da dirmi”.

Approfittando del fatto che era in paese, Stefano decise di fare un salto in farmacia.
Era sabato e la via del centro storico era piuttosto affollata.
C’era una pasticceria molto buona nel corso e Stefano decise di fermarsi per concedersi una seconda colazione.
Il cuore gli diede un balzo quando scorse Enrica che, appoggiata al banco, beveva un cappuccino.
Le andò incontro e anche lei parve turbata nel vederlo:
“Professore, che piacere incontrarla! Sa che ieri sera mi ha fatto preoccupare?”
“Preoccupare?”
“Sì, era così strano durante la lezione, ci guardava tutti in un modo... Poi ci ha detto che si sentiva male e che la lezione era finita. Sa, io sono uscita insieme agli altri e sono andata verso casa, poi però ci ho ripensato e sono tornata indietro per vedere come stava”
“Davvero?”
“Sì, lei però era già in macchina, ho cercato di fermarla ma non mi ha vista”
“Ah, capisco. La ringrazio per essersi preoccupata per me, oggi comunque sto meglio”
“Meno male” disse Enrica mentre il viso le si distendeva in un aria di sincero sollievo.
“Senta, Enrica, lo so che non dovrei chiederglielo, ma il testo che stavo leggendo ieri sera è il suo, vero?”
Il viso della donna si aprì in un sorriso luminoso:
“L’ha capito, allora”
“Sì, Enrica, credo di aver capito anche tante altre cose di lei”
“Anch’io ho capito qualcosa di lei, professore. Mi scusi se glielo dico, ci conosciamo poco ma sento che lei... è molto triste”.
Parlando avevano imboccato il corso.

(Autore: Caterina Caterini)

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